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Ari&Chris, la magica coppia del Festival di Giornalismo

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Dici Ciccone e pensi a Madonna. Pronunci il nome Potter e non puoi che associarlo al magico mondo di Hogwarts.  “Siamo la coppia più famosa del mondo”, sorride Christopher Potter. “Gli sconosciuti più famosi del mondo”, lo corregge Arianna Ciccone.
 

Ari&Chris. Una coppia di fatto, nel lavoro e nella vita. Da sette anni anima e corpo del Festival Internazionale di Giornalismo: oltre 200 eventi e 450 speaker che per cinque giorni, dal 24 al 28 aprile, saranno i padroni assoluti di Perugia insieme alle migliaia di giovani che ogni anno occupano la città per seguire il più grande media event d’Europa. Quest’anno ci saranno Matteo Renzi e Kevin Bleyer, speechwriter di Barack Obama, esperti internazionali del calibro di Mathew Ingram e Emily Bell, e tanti direttori e giornalisti provenienti da tutto il mondo.
 

Siamo seduti a un tavolo davanti alla loro casa immersa nel verde della campagna umbra. Il luogo ideale per riavvolge il file della memoria:

“I primi anni era difficile avere i giornalisti, soprattutto gli italiani”

ricorda Arianna, 42 anni, nata a Napoli, refrattaria alle grandi città. Poi è scattato qualcosa e la manifestazione è diventata un palcoscenico sul quale tutti vogliono salire. “Adesso molti giornalisti si offrono per portare il loro contributo al Festival”, dice Chris, nato 51 anni fa a Bedford, paesino tra Oxford e Cambridge, una laurea in Economia a Manchester, prima di innamorarsi perdutamente di Arianna e dell’Italia.
 
Galeotto fu il corso d’inglese. Anno 1994. “Era il mio professore di inglese, quando studiavo filosofia a Napoli. Io ero innamorata pazza di lui, ma Chris non mi filava proprio”. E allora? “Allora mi sono iscritta all’Ifg, la scuola di giornalismo di Urbino. Dopo gli stage a Milano ho capito che le grandi città non facevano per me. Neppure volevo tornare a Napoli. Perugia, mi sono detta. Ho preso l’elenco del telefono e ho chiamato una radio – Rete Più – a Bastia. Mi sono offerta come stagista. Era il 1997. Ci fu il terremoto e io facevo le dirette con la terra che tremava. Mi hanno assunta”.
 
Di Christopher, nel frattempo, si erano perse le tracce. “Ero tornato a Londra, avevo comprato casa e decisi di mandare una cartolina agli amici sparsi per il mondo per invitarli”. Arianna non se lo fece dire due volte: “A Londra ci siamo innamorati”.
 
Era arrivato il momento di scegliere: Italia o Inghilterra. “Ho scelto Arianna. Abbiamo preso un casale abbandonato immerso nel verde di Torgiano, tra Perugia e Assisi, e ci siamo costruiti questa casa, che poi è diventata anche il quartier generale del Festival”.
 
E come è nata l’idea?
Ari: “Eravamo qui, in campagna, a prendere un tè. Ho detto: perché non facciamo un evento nostro, un festival internazionale di giornalismo? In Italia non c’era niente del genere”.
 
Chris: “Per me, che non ho scritto una sola riga di giornalismo in vita mia, l’idea era bellissima e ingenua: soprattutto impossibile da realizzare per due sconosciuti”.
 
Ari: “Tutto quello che oggi è il Festival è venuto da solo, non l’avevamo pianificato”.
 
Chris: “Nel frattempo sono esplosi i social media”.
 
Ari: “Il giornalismo italiano ci ignorava. Nel 1997 mentre gli stranieri accettavano, gli italiani ci dicevano di no, tranne Ezio Mauro, che ha creduto in noi dall’inizio. Incredibilmente, dopo due o tre anni c’era la corsa per venire al Festival”.
 
Mica sarete come Grillo, che disprezza i giornalisti italiani e parla solo con gli stranieri? “Quella di Grillo è una posizione strumentale, studiata a tavolino, parallela alla scelta di rapporto con i partiti: noi/voi”, si smarca Arianna.

“Le interviste fatte con i media esteri sono imbarazzanti: non ho visto una sola domanda critica, che entri nel merito delle incoerenze che pure ci sono alla base della filosofia del MoVimento 5 stelle”.

“Il giornalismo è troppo vicino al potere”, dice Chris. “Ma non ne farei una questione Italia-resto del mondo. Anche l’Inghilterra, negli ultimi tre anni, ha sofferto la stessa commistione fra politica e informazione, soprattutto con le questioni legate a Murdoch e al governo di Downing Street”.
 
“Ma lì almeno c’è un dibattito, ci sono le inchieste parlamentari” interviene Arianna. “Da noi Grillo si è inserito in uno spazio lasciato libero, altrimenti non avrebbe attecchito. La gente dice: ‘Ha ragione’”.

“I giornalisti dovrebbero essere i primi a indignarsi per le notizie manipolate. Con la difesa della categoria a prescindere si perde solo credibilità”.

“Questo è un buon punto di differenza”, ammetta Chris. “In Inghilterra la Bbc si interroga su come ricostruire il rapporto di fiducia con il pubblico, si discute sui temi etici e deontologici di una professione che è cambiata molto più negli ultimi dieci anni che nei precedenti due secoli. Qui, invece, se ne parla molto meno. E chi ne parla spesso non è ascoltato. Per questo il Festival è diventato un’importante finestra di confronto sulla professione”.
 
Invece di affrontare i temi etici e deontologici si è preferito attribuire l’unica garanzia di trasparenza alle dirette streaming…
 
“Fa parte della retorica del web”, si scalda Arianna. “Lo streaming non è sinonimo di democrazia e trasparenza. Il confronto tra Bersani e i 5 stelle è stato imbarazzante e, oltre tutto, non sapremo mai cosa si sono detti prima e dopo. L’ideologia della rete di Grillo e Casaleggio è problematica. Credo che alcune evidenti contraddizioni, come rapporto leadership carismatica/ognunovaleuno, possano diventare un boomerang per il Movimento”.
 
E Twitter? Almeno Twitter si salverà?
 
“Sì, se è uno strumento in più per evidenziare incoerenze e contraddizioni. No, se lo spettacolo è quello che abbiamo visto durante la campagna elettorale, con i giornalisti che seguono i politici e li riprendono senza contesto critico. Allora diventa tutto uno show autoreferenziale, come l’esordio di Monti che rispondeva alle domande del Tg1 che la sera ci ha aperto il telegiornale. Poi come si fa a stupirci se i cittadini si sentono presi in giro dai rapporti tra i poteri e non sanno più a chi credere?”
 
Altri tempi quando il giornalismo faceva il cane da guardia dei poteri…
 
“Oggi i direttori delle testate vogliono dettare l’agenda e sinceramente è fastidioso”, risponde Arianna. “Inoltre, se una notizia è forzata i lettori ti sgamano subito, mentre una volta la passavi liscia. Ecco dove i giornali perdono rilevanza. I Like su Facebook non corrispondono necessariamente a un apprezzamento. Spesso sono un ammonimento di lettori critici: ‘Ti tengo d’occhio’. Guarda cosa è successo con l’inseguimento del pullman che portava i parlamentari del 5 stelle alla riunione segreta. Era un format studiato a tavolino. Grillo sapeva perfettamente cosa sarebbe successo e si diverte a tendere tranelli a giornalisti che ragionano ancora con i codici berlusconiani”.

“Quel corteo all’inseguimento del pullman è stato il funerale del giornalismo”.

Professione in crisi, perdita di credibilità e rilevanza: eppure, a giudicare dai ragazzi che vengono a Perugia, il mito del giornalismo resiste ai vizi dei giornalisti.
 
“Vogliono sapere come fare questa professione, sono intraprendenti, fanno domande, si presentano. Ti racconto un episodio significativo”, dice Chris. “Nel 2010, il keynote fu affidato a Paul Steiger, storico direttore del Wall Street Journal. Uno dei volontari che ci aiutano a fare il Festival, Vincenzo Sassu, lo avvicinò, parlarono e Steiger gli lasciò il suo bigliettino. Dopo qualche mese ci arrivò la foto di Sassu che intervistava Steiger a New York nella sua stanza a ProPublica. Quella foto significa tanto. Rispecchia il clima informale, accessibile del Festival: le grandi firme a tu per tu con i giovani, tutti invitati a conoscersi. Non so se al mondo esistono altri esempi di questa formula aperta”.
 
Arianna, che su Twitter (@_arianna) non molla mai l’osso nei dibattiti su vizi e virtù del giornalismo, è entusiasta: “Anche se è cambiata molto, resta una professione affascinante. Anzi, adesso che puoi saltare i percorsi istituzionali, lo è più che mai. E’ vero, c’è una deriva etica e professionale. Ma il giornalismo in sé è una cosa stupenda, che ha a che vedere con i fatti, le persone, i tanti modi in cui li puoi raccontare”.
 
Chris ha un aneddoto che spiega molto bene la formula del Festival: “Giorni fa ci è arrivata un’e-mail dal Community Manager del New York Times. Voleva sapere il prezzo dell’iscrizione, dei biglietti e quali erano le richieste per la registrazione. La mia risposta è stata ‘zero’. Visto da fuori è impensabile che tutte queste persone, che i workshop di formazione (tenuti in questi anni da premi Pulitzer, come Sarah Cohen e Steve Doig) siano accessibili a tutti gratis”.
 
E come si regge tutto questo?
 
“E’ merito degli sponsor che hanno avuto fiducia in due outsider rispetto al sistema politico e dei media”, risponde Arianna. “Però l’Italia dovrebbe fare un passo in più nella cultura delle sponsorizzazioni, perché si avverte una resistenza a investire in modo importante su manifestazioni estranee al sistema di potere. Il paradosso è che mentre albergatori e commercianti ci fermano per strada per ringraziarci, l’Assessorato alla Cultura della Regione Umbria non concede contributi al festival ormai da due anni (2012-2013). Non lo contestiamo, ma dobbiamo prenderne atto: il Festival cresce e il budget diminuisce. Se la manifestazione muore sarà una sconfitta e una responsabilità nostra, ma anche del Paese”.
 
“Senza gli sponsor non ce la faremmo”, incalza Chris, “ma dobbiamo ringraziare anche i giornalisti che ogni anno vengono a Perugia senza essere pagati. Noi abbiamo creato la piattaforma, ma il Festival è loro. Questa è un’esperienza improbabile, che è esplosa nelle nostre mani in poco tempo grazie anche a un palcoscenico perfetto: Perugia”.
 
Il sole scende e la fame sale. E’ il momento della domanda sulla “strana coppia” che lavora insieme, in una casa-bottega immersa nel verde della campagna umbra. Ci sarebbe di che esplodere…
 
“Come coppia ci siamo rafforzati. Sulle scelte importanti siamo sempre d’accordo. E’ più facile litigare sulle piccole decisioni”, svicola Arianna.

“La nostra è una storia d’amore, un’avventura umana e professionale straordinaria”, dice quello che non se la filava.

Poco più tardi, a tavola, scopro le differenze: un’insalata per Arianna, “sono vegetariana da quando avevo 17 anni”. Chris si butta su un piatto di pappardelle al cinghiale bianco. “Chi cucina a casa?”, chiedo, sperando di scatenare la rissa. “Io”, risponde Arianna. “Nessuno”, dice Chris prima di abbassare la testa sul piatto fumante. “E il futuro del giornalismo?” azzardo sperando nella risposta risolutiva.

“Nessuno ci sta capendo niente, è un momento di passaggio fortissimo. Bisogna sperimentare. E vivere alla giornata”.

Ottimo, lo terrò presente.

@marcoprat


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